È un comune di circa 15.000 abitanti della città metropolitana di Catania.
LA STORIA
L’odierna città è sorta in prossimità del mare dopo che nel 1928 una devastante colata lavica aveva distrutto l’antico centro abitato di cui rimane solo una traccia nell’allora periferico quartiere di Sant’Antonino, oggi frazione di Mascali.
Le sue origini si perdono nel tempo. Certamente tutta la zona jonico-etnea vide fin dai tempi più remoti la presenza dell’uomo ed in seguito quella delle grandi civiltà classiche, greca e romana. Tuttavia, il nome di Mascali appare in epoca bizantina, grazie alla menzione che nel 593 d.C. ne fa Papa Gregorio Magno in un’epistola diretta al vescovo di Taormina, Secondino, per dirimere una controversia concernente il monastero di Sant’Andrea da lui eretto nel luogo dove, secondo la tradizione, oggi sorge il Santuario di Vena, su un fondo appartenente alla madre, Santa Silvia, patrizia romana.
Un’interpretazione circa l’origine del toponimo è riferibile al greco parlato dai Bizantini che, guidati da Belisario, sin dal 535 d.C. avevano riconquistato la Sicilia; essi amavano attribuire ai luoghi da loro incontrati nella riconquista e, presumibilmente, privi di passato a valenza storica, nomi derivanti da caratteristiche naturali. Mascali, pertanto, significherebbe “ramoso” e, quindi, “boscoso”. Del resto, presso la frazione di Nunziata esiste tutt’ora una chiesa bizantina con tracce di affreschi dell’epoca. Proprio il bosco, la macchia più folta, caratterizzerà a lungo il territorio mascalese rendendolo agli occhi degli antichi sovrani di Sicilia – soprattutto quelli Aragonesi – ideale per la caccia.
L’antica Mascali, alta sul monte e visibile dal mare (con tutti i rischi che ciò comportava), dovette passare attraverso varie fasi di sviluppo: da “casale”, a “villa”, fino a divenire, crescendo, città vera e propria, tanto che nella prima metà del secolo XII il geografo arabo Idrisi ne decantava la prosperità, la laboriosità delle popolazioni e la ricchezza di acque.
Una terra ed una comunità, dunque, provviste di abbondanti risorse, quantunque sottoposte al vulcano che, con le sue colate laviche ed i suoi sussulti ne mutava, nel tempo, l’aspetto.
Dopo la liberazione della Sicilia dal dominio arabo, il territorio mascalese fu donato dai Normanni al vescovo di Catania. Alla mensa vescovile, quindi, venne dato il possesso materiale di una vasta zona, rimanendo quello spirituale alla Diocesi di Messina. Con tali presupposti si creerà la Contea di Mascali mediante un’investitura “ad personam” operata dall’Imperatore Carlo V (1540-1543) in favore del nuovo vescovo di Catania, mons. Nicola Maria Caracciolo, che acquisiva il titolo di primo conte di Mascali.
Sotto il governo dei vescovi di Catania, quindi, l’esteso territorio sarà colonizzato soprattutto da famiglie acesi che ne garantiranno una progressiva antropizzazione a favore di una maggiore sicurezza anche per mercanti e viandanti. Quanto alla difesa della zona litoranea, sempre soggetta alle incursioni piratesche finalizzate a razzie di beni e di esseri umani, la soluzione fu quella di erigere una serie di torri di avvistamento tra loro collegate da un sistema di comunicazioni visive facenti capo alla torre di Archirafi, non molto distante dall’attuale Riposto.
Durante il XVII secolo, vescovi come Innocenzo Massimo e Michelangelo Bonadies seguirono la politica economica del Caracciolo e continuarono la concessione enfiteutica delle terre attirando ancora numerose famiglie da Acireale e Messina, oltre a parecchia manodopera contadina. In particolare, il Bonadies si batté con determinazione contro i tentativi di chi intendeva porre il territorio di Mascali sotto il controllo fiscale dello Stato affinché la Contea restasse sotto il diretto controllo della mensa vescovile catanese.
Gli effetti disastrosi del terremoto del 1693 si fecero ampiamente sentire anche in questi luoghi. L’abitato di Mascali rimase semidistrutto e l’antica strada consolare romana venne spostata a valle, verso est, favorendo così, durante il ’700, lo sviluppo e la rapida crescita di Giarre e Riposto a discapito del “capoluogo” che venne definitivamente tagliato fuori dai traffici commerciali. Fu in questi ultimi due centri che in poco tempo sorse e si affermò un nutrito ceto borghese mercantile.
Nel 1757 la Contea passò dalla gestione diretta della Curia catanese a quella mediata del Re. Quindi, nel 1825, il titolo di “Conte di Mascali” fu trasferito al Principe di Capua, a quei tempi Francesco I di Borbone.
Durante i moti rivoluzionari del 1848, il governo provvisorio della Sicilia, retto da Ruggero Settimo, abolì la Contea e ciò che ne restava fu posto sotto il controllo dello Stato.
ECCELLENZE AMBIENTALI ED ENOGASTRONOMICHE
Con due frazioni direttamente sul mare ed altre sui fianchi del Vulcano, l’ambiente mascalese è estremamente vario. A valle si trova l’area protetta La Gurna, uno degli ultimi frammenti di una estesa superficie umida che fino all’Ottocento si estendeva lungo la costa jonica dal torrente Macchia alla foce dell’Alcantara. Era una zona palustre alimentata dalle acque di risorgiva provenienti dal versante nord-orientale dell’Etna poi bonificata e, quindi, messa a coltura con la quasi totale eliminazione dell’antico sistema palustre. Allo stato attuale se ne rinvengono solo frammenti di una certa importanza naturalistica nei pressi dell’area protetta e del fiume Fiumefreddo. L’attività agricola del territorio produce agrumi (in particolare limoni), mandorle, ciliegie, noci, nocciole, nespole, ortaggi e soprattutto uva e il celebre vino “nerello mascalese”. Anche in cucina mostra una grande varietà: ottimi i piatti a base di pesce, ma anche succulenti secondi di carne. Tra le specialità, gli arrosti misti che esaltano il pescato dello Jonio e le grigliate di carni bianche e rosse. Assolutamente da non perdere un assaggio del famoso fagiolino mascalese.
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