Tour Il Barocco Acese

ARCHITETTURA BAROCCA ACESE
Il terremoto dell’undici gennaio 1693 fu tremendo per tutti i centri della Sicilia orientale. Ad Acireale vi furono 739 vittime e crollarono i due terzi degli edifici. La città subisce pesanti danneggiamenti, ma il ceto nobiliare e quello imprenditoriale promuovono la ricostruzione: da qui lo splendido barocco che arricchisce il centro storico, dovuto prevalentemente all’architetto Paolo Amico ed al geniale pennello di Pietro Paolo Vasta, il più importante pittore acese del ‘700. Lo sviluppo urbanistico della città proseguirà con l’opera di tre architetti, Mariano Panebianco, Mariano Falcini e Stefano Ittar, ai quali si devono gli edifici di maggiore pregio edificati nel corso dell’800.
Il protagonismo architettonico-decorativo, emerso dalla collaborazione di abili architetti, capimastri, mastri, intagliatori e scultori, è legato al connubio ben assortito del materiale lapideo (nera pietra dell’Etna e bianco calcare di Siracusa) dosato con estrema sapienza fino a determinare misurati esempi di raro equilibrio compositivo e a raggiungere la pregevolezza dei “merletti lapidei”. In genere tutte le sculture sono eseguite con molta finezza, controllata eleganza e soprattutto con un senso di leggerezza e di movimento. Questi protagonisti si adoperavano per dare alla città un nuovo volto quanto più omogeneo possibile. Nascono cosi edifici – a parte quelli espressi dal potere religioso nelle tre chiese principali – che, pur non presentando forme grandiose, risultano appariscenti, per la loro massa strutturale, limitati in altezza a giustificazione quasi di scelte di ordine antisismico e nello stesso tempo sobri e originali per la ricchezza degli elementi decorativo-architettonici caratterizzati da estroso rigore simmetrico. A differenza di Noto, dove gli edifici ubbidiscono ad un piano premeditato, ad Acireale si nota una certa spontaneità e una maggiore vivacità. Soffermarsi sulle architetture o sulle decorazioni acesi significa scontrarsi continuamente con le innumerevoli maschere affioranti dalle facciate di chiese e palazzi: livellamento di sacro e profano; con i mensoloni figurati “cagnoli”, antropomorfi, zoomorfi e fitomorfi; o ancora con i mascheroni dei portali che conservano un significato apotropaico. Nel contesto architettonico agli enormi portali ad arco a tutto sesto dei palazzi della borghesia terriera, dai lunotti protetti da suggestive roste, si affiancano quelli delle chiese, sempre retti dagli opulenti architravi con al centro in rilievo la testa di un angelo, sormontati da corpose ma eleganti volute. Anacronistiche bifore emergono con soverchio sussiego, quasi a mantenere vivo il passato, dai campanili del Duomo e di S. Pietro, reminescenze dell’architettura arabo-normanna; a moduli rinascimentali rimanda la loggetta murata del Palazzo di Piazza Grassi esempi che testimoniano la persistente predilezione di forme desuete. Il secolo incalza verso la fine e via via al modulo barocco rococò subentra quello neoclassico; il nuovo gusto che da li a poco avrà una vivifica stagione. La facciata di S. Giuseppe (1798) rappresenta la fusione dei due stili.